Ricordi d'infanzia

È con questa foto che ti ho salutato, mio caro paese. Una foto scattata al volo con il cellulare in un momento triste, durante il funerale di un tuo compaesano. Uno dei tanti che hai visto nascere, battezzare e poi salutare per l’ultima volta.

Non pensavo che sarebbe stata l’ultima immagine prima della mia partenza. Guardarla adesso mi spinge a scriverti un piccolo pensiero, perché è da questo muro – oggi colorato, arricchito da un canestro arrugginito e tanti nomi scarabocchiati – che la mia infanzia ha avuto inizio. Qui sono nati i miei giochi, le mie amicizie, i miei primi ricordi.

 

Ricordo i gruppi di ragazzi che si radunavano attorno a questi muri e ai sedili di cemento, intenti a scambiarsi figurine di calciatori. Ricordo le partite a pallone, a bandierina, e quella bottiglia che girava vorticosamente sul pavimento, mentre noi ragazzini e ragazzine arrossivamo al pensiero che potesse fermarsi proprio davanti a noi, pronta a chiedere un bacio o una carezza.

Ricordo i fiori di campo gialli, con il gambo lungo e succoso, che riempivano la lingua di un sapore acre come il limone. Ricordo le bolle di sapone, le recite estive, le poesie e le preghiere. Ricordo i preparativi per la Prima Comunione e la corsa frenetica dalla chiesa a casa, con l’abito ancora addosso.

Ricordo i banchi di scuola e il mio tavolino di legno, dove, accanto ai quaderni e alle matite, mia mamma mi faceva trovare un panino al burro, semplice ma buonissimo. Ricordo i cartoni animati e i pomeriggi passati a giocare sul pianerottolo di casa con i miei amici. Ricordo i tappi di birra o acqua minerale che, come per magia, si trasformavano in calciatori, e una pallina di carta argentata diventava il loro pallone.

Ricordo le prime liti, il gioco del campanaro, nascondino e mosca cieca. Ricordo le cadute in bicicletta e la sensazione che la traversa e la strada da casa alla chiesa fossero un mondo sconfinato, da esplorare giorno dopo giorno. La fontanella che mi dissetava dopo lunghe corse, e la piccola stradina che conduceva a una chiesa antica, dove dalle casette vicine si vendeva latte appena munto a poche lire.

Il mio mondo era questo: un mondo di semplicità, dove ci si divertiva con poco, dove il tempo aveva un valore diverso. Si rientrava a casa all’orario prestabilito, perché la cena era pronta e si mangiava tutti insieme, attorno al tavolo.

Ciao, Arangea. Scusa se ti ho salutato in fretta quel giorno, ma sono sicuro che se mi fossi seduto un attimo a pensare a tutto quello che sto rivivendo adesso – alla mia infanzia, ai miei amici, ai giochi e alle risate – sarei rimasto lì ancora un po’. A giocare a bandierina, a soffiare sulle figurine per farle cadere a pancia in giù, a ridere felice e ad assaporare di nuovo il gusto di quei fiori gialli dal gambo lungo.

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